La tecnologia non è mai stata tanto vitale: la maggior parte delle persone ne usufruisce durante tutto l’arco della giornata, dal momento in cui si sveglia con la suoneria del cellulare, fino all’ultimo messaggio inviato prima di andare a letto. Nel bene e nel male, condiziona la quotidianità rendendoci costantemente connessi agli amici, alle notizie, e sempre più spesso anche al lavoro. Questa iperstimolazione, tuttavia, rischia di influire negativamente sulla capacità di concentrazione. Per ovviare a tale problema, i datori di lavoro stanno cercando di trovare il giusto equilibrio, a vantaggio sia dei dipendenti, sia dell’azienda stessa.

Governi e imprese hanno iniziato a riconoscere il “diritto alla disconnessione” e stanno prendendo provvedimenti in tal senso. Dopo la Francia, che nel 2017 ha approvato una legge per dare ai lavoratori il diritto di ignorare le e-mail fuori dall’orario lavorativo, anche alcune grandi realtà in Germania si stanno impegnando attivamente per limitare il tempo che i dipendenti trascorrono connessi fuori dall’orario di ufficio. Differente la situazione in Italia, dove non esiste ancora una vera e propria regolamentazione sul diritto di disconnettersi: un primo passo è stato compiuto con la Legge 81/2017, che si esprime in materia di lavoro agile aprendo la strada alla possibilità di disconnettere le strumentazioni tecnologiche se questo rispetta gli obiettivi e le modalità di esecuzione del lavoro concordati.

Il rischio di burnout o di altre malattie legate allo stress è alto: per questo riconoscere l’importanza di ”staccare la spina” è fondamentale, soprattutto oggi che la forza lavoro è composta in gran parte dall’ultra connessa generazione Z e dei Millennials.

Attenzione in calo

Con la sua capacità di tenerci costantemente “accesi” e connessi, la tecnologia aumenta la stanchezza. Gli scienziati dell’Università Coreana di Yonsei hanno scoperto come l’energia utilizzata per rispondere al flusso costante di informazioni porti a tensioni fisiche e psicologiche nell’individuo. Il tema è stato trattato anche dal professor Chris Lee nel libro “How Tech is Making Us Tired”, in cui invita a sviluppare la consapevolezza che l’impatto della tecnologia sulla nostra vita può non essere sempre positivo. Sta quindi diventando sempre più chiaro come la stanchezza fisica e psicologica dovuta allo stress da tecnologia possa influenzare la vita lavorativa e personale, rendendoci meno motivati, attenti e interessati.

La riduzione dei tempi di attenzione è una delle principali conseguenze: uno studio condotto dai ricercatori della Technical University of Denmark ha dimostrato come “l’attenzione collettiva globale si stia riducendo a causa della quantità di informazioni che vengono presentate al pubblico”. Tempi di attenzione ridotti comportano difficoltà sotto molti aspetti, a partire dal modo di imparare e di interagire con gli altri.

Il problema della produttività

Se persone e aziende possono trarre beneficio dalla tecnologia, il suo impatto sulla produttività può invece rappresentare un problema serio non solo per i singoli individui, ma per il business in generale. Un esempio? Avere lo smartphone a portata di mano può implicare che quando la mente si allontana da quello che si ha di fronte, si tende a restare distratti piuttosto che a riportare l’attenzione su ciò che si stava facendo. Una ricerca del dottor Glenn Wilson evidenzia come le interruzioni e le distrazioni persistenti sul lavoro possano ridurre il livello di QI di una media di 10 punti.

Una soluzione a questo problema potrebbe essere la creazione di spazi di lavoro in ambienti “tech-free”. Recentemente numerose aziende, tra cui il Last Word Café della British Library, hanno adottato misure che prevedono di vietare o confiscare i telefoni durante l’orario di lavoro, per migliorare la produttività e la concentrazione del personale. Tuttavia, molti trovano inopportuna e preoccupante l’idea che il datore di lavoro confischi loro lo smartphone. Non solo: si tratta addirittura di una soluzione impraticabile in caso di smart working.

Può invece avere maggiore successo un approccio diverso alla dipendenza tecnologica: gli ambienti di lavoro più produttivi sono quelli che offrono aree di relax e svago, dove ci si può incontrare per fare una pausa dalla routine della scrivania.

Inoltre, scegliere spazi di lavoro flessibili può aiutare anche coloro che fanno fatica a non “portarsi il lavoro a casa”, aiutandoli a bilanciare meglio l’equilibrio tra vita privata e lavoro. Per chi lavora in proprio o da casa in modo regolare, gli spazi di lavoro flessibili offrono un luogo in cui concentrarsi sul lavoro, rendendo invece la propria abitazione un luogo dove potersi rilassare, godendosi il tempo libero.

Limitare la tecnologia

Nonostante la tecnologia abbia portato enormi benefici ad aziende e dipendenti, c’è chiaramente la necessità di trovare il giusto equilibrio. Essere disponibili e attivi 24 ore su 24, 7 giorni su 7, può portare ad essere meno produttivi, creando un danno alla capacità di attenzione con un impatto negativo su molti aspetti della vita, non solo lavorativa.

Spazi di lavoro flessibili e zone ”tech free” rappresentano due soluzioni a questo problema moderno, poiché possono aiutare a separare il concetto di orario lavorativo e tempo libero, ottimizzando i livelli di attenzione sul lavoro. Nei prossimi anni, se la dipendenza dalla tecnologia continuerà a crescere, i datori di lavoro dovranno prendere in considerazione ulteriori azioni per mantenere elevate le capacità mentali, nell’interesse sia dei dipendenti, sia delle aziende.

Redazione