Vengono chiamati Millennial Generation, Generation Next, Net Generation e fanno parte della Generazione Y, ovvero gli individui nati tra i primi anni ottanta e la fine degli anni novanta.

Una generazione che costituisce ormai circa il 75% della forza lavoro a livello mondiale.

Una presenza sempre più marcata di Millennials nelle aziende che ha portato e sta portando a piccole e grandi rivoluzioni, anche per quanto riguarda la gestione delle risorse umane.

È noto che gli esponenti della Generazione Y, guardando alla propria carriera professionale, cercano qualcosa di diverso rispetto ai predecessori.

Prima generazione sempre connessa e globale, quella dei Millennials è costituita soprattutto da lavoratori colti e curiosi, capaci di lavorare ovunque e a qualsiasi orario, a patto però di non sentirsi inseriti in strutture e in schemi troppo rigidi: la capacità di lavorare in ogni posto e in ogni momento, infatti, è una risposta al loro diffuso bisogno di flessibilità.

Ed è proprio la flessibilità, insieme alla connettività e di varietà, uno dei desideri maggiori dei dipendenti della Generazione Y.

A sottolinearlo è una ricerca di ADP e CorporateLeaders, la quale sottolinea come ci sia bisogno di un cambio di passo da parte dei responsabili HR, proprio per poter sfruttare al meglio le potenzialità dei Millennials.

E questo è doppiamente importante ora che, con il definitivo tramontare del “lavoro a vita”, la permanenza dei talenti in azienda dipende dai benefici reciproci per entrambe le parti.

Il problema però è che in media le aziende sopravvalutano la propria capacità di soddisfare i potenziali candidati e gli stessi dipendenti.

E questo accade fin dall’inizio, e quindi fin dal processo di selezione del personale: come rilevato dalla ricerca ADB, di fronte al 46% dei recruiter convinto che le prassi di reclutamento aziendali «funzionino bene», solo il 16% dei candidati la pensa allo stesso modo.

E questo gap di visioni, che fa luce su una serpeggiante insoddisfazione, continua anche negli step successivi del rapporto lavorativo, tanto che, secondo una ricerca Gallup, solo il 13% della forza lavoro globale dimostra un alto coinvolgimento nella propria attività.

E, peggio ancora, stando ai dati Glassdoorsolo il 50% dei dipendenti è disposto a consigliare il proprio datore di lavoro agli amici.

Le aziende e i rispettivi uffici HR devono quindi migliorare le proprie tecniche per attirare e per trattenere in azienda i talenti della Generazione Y.

«Bisogna partire dal presupposto per cui i Millennials hanno esigenze differenti rispetto, per esempio, a quelle della Generazione X» spiega Carola Adami, amministratore delegato della società di head hunting Adami & Associati.

«Lo stipendio, pur restando importante, passa in secondo piano: è forte il desiderio di crescere e di imparare, e anche la volontà di fare la differenza all’interno dell’azienda.

Ecco quindi che le aziende devono investire in formazione, e dare fedback continui ai propri dipendenti. È inoltre necessario rendere il lavoro effettivamente flessibile, senza che il concetto di smart working resti solamente sulla carta: questi sono i primi fondamentali passi per riuscire ad attrarre Millennials talentuosi, e per trattenerli poi in azienda il più possibile» conclude la Adami.

Redazione