Secondo l’ultima indagine condotta da LinkedIn, il 39% dei lavoratori su scala globale (e il 33% in Italia) si sente sopraffatto dal possibile impatto dell’AI sul proprio lavoro. Ma, nel mondo, 9 professionisti su 10 sono comunque curiosi ed entusiasti di poter utilizzare questa nuova tecnologia.
- In Italia, il 60% dei lavoratori si dice convinto che l’AI diventerà un “aiutante invisibile” in grado di agevolare il lavoro quotidiano
- Tra i nostri connazionali i timori rispetto all’AI variano a seconda dell’età. I nativi digitali, e nella fattispecie la GenZ, sono i più preoccupati del possibile impatto dell’AI sul proprio lavoro, con il 44% degli intervistati nella fascia di età 16-26 anni che dichiara di sentirsi sopraffatto
- I baby boomers e la GenY sono decisamente meno allarmati, con rispettivamente il 31% e il 32% che condivide il senso di sopraffazione nei confronti dei cambiamenti dettati dall’AI
- Il 58% dei giovanissimi (GenZ) vorrebbe imparare a utilizzare al meglio l’AI sul lavoro, ma non sa come accedere a questo know-how (a dichiarare lo stesso è solo il 49% dei baby boomers)
- Il commento di Albergoni: “Il futuro del lavoro è nella collaborazione sinergica tra esseri umani e AI”
Nel giro di pochi mesi, a partire da novembre 2022, la diffusione su vasta scala di strumenti di facile accesso basati sull’Intelligenza Artificiale generativa ha scosso le fondamenta stesse del mondo del lavoro. Il 2023 si è aperto tra entusiasmi e incertezze, con i lavoratori e le lavoratrici di tutto il mondo che si sono ritrovati a fare i conti con una tecnologia in grado di cambiare radicalmente il loro modo di lavorare – senza che però fosse chiaro il potenziale reale di questi strumenti. Una nuova indagine condotta da LinkedIn, il network professionale più ampio al mondo, fa il punto sulla percezione dell’AI in ambito professionale, facendo luce su alcuni aspetti cruciali come le differenze generazionali e di genere nella visione dell’intelligenza artificiale.
La curiosità vince sulla preoccupazione: il panorama globale
Dai dati aggregati dell’indagine emerge come, su scala globale, l’AI abbia già avuto un forte impatto sulla vita professionale degli intervistati, con il 60% che si dice convinto che l’Intelligenza Artificiale porterà, già nel corso del prossimo anno, all’introduzione di nuove modalità di lavoro e, in generale, ad altri cambiamenti significativi. In questo contesto, 2 intervistati su 5 (39%) dichiarano di sentirsi sopraffatti da questa trasformazione: ciò nonostante, 9 su 10 sono curiosi ed entusiasti di poter utilizzare l’AI sul lavoro.
Restano però importanti differenze di percezione, sia tra singoli Paesi sia di genere. Lavoratori e lavoratrici negli Stati Uniti sono tra i più ottimisti: il 66% è convinto che l’Intelligenza artificiale avrà un impatto significativo sul proprio modo di lavorare e il 69% di tutti gli intervistati pensa all’AI, nei prossimi 5 anni, come a un “aiutante invisibile” che li aiuterà a portare a termine le proprie mansioni. La convinzione che l’AI possa costituire un valido supporto sul lavoro è condivisa fortemente anche in Brasile (86%), Arabia Saudita (85%) e in India (90%). In Europa invece la percentuale di lavoratori e lavoratrici che si dice persuasa dell’apporto positivo che l’AI potrà portare nello svolgimento del proprio lavoro, da qui a 5 anni, è significativamente minore: interessante notare, tuttavia, che nel vecchio continente spagnoli e italiani sono tra i più entusiasti – con gli intervistati che rispondono positivamente per il 62% e 59% rispettivamente.
Meno confortante è quanto emerge dall’indagine se si guarda al genere: più di 7 uomini su 10 (73%), a livello globale, vedono nell’AI un alleato sul lavoro, convinzione condivisa dal 65% della controparte femminile.
Se si guarda invece alle preoccupazioni più diffuse nei confronti dell’AI in Italia, quasi 2 intervistati su 10 (19%) si sentono in difficoltà a causa della barriera linguistica, visto che gli strumenti a disposizione sinora sono in larga parte più efficienti e fruibili se utilizzati in lingua inglese. Ed è forse per via di una maggiore consapevolezza della vastità delle possibili applicazioni dell’AI, dei suoi pro e contro, che la GenZ teme maggiormente – rispetto a tutte le altre generazioni – di rimanere indietro rispetto ai colleghi nell’apprendimento delle skill necessarie per utilizzare questa tecnologia al meglio: il 29% degli intervistati nella fascia di età 16-26 anni si dichiara preoccupata, mentre solo il 22% dei millenials, il 16% della GenY e il 15% dei baby boomers afferma lo stesso.
Timore che trova riscontro anche nelle risposte che gli intervistati in Italia hanno fornito sul tema specifico delle opportunità di formazione, con il 58% dei giovanissimi (GenZ) che vorrebbe imparare a utilizzare al meglio l’AI sul lavoro, ma che non sa come accedere a questo know-how (a dichiarare lo stesso è solo il 49% dei baby boomers). Il bisogno di formarsi e ampliare le proprie skills per integrare al meglio l’Intelligenza Artificiale nel proprio flusso di lavoro è quindi fondamentale per la GenZ. Non sembra esserci tuttavia un riscontro adeguato di fronte a questa esigenza: in Italia 3 intervistati su 5 (57%) dichiarano di non aver ricevuto dal proprio datore di lavoro né delle linee guida né un training specifico volto a migliorare o ottimizzare il ricorso all’AI.
L’impatto dell’AI sul mondo del lavoro italiano: generazioni a confronto
In Italia, come abbiamo visto, l’entusiasmo tra i lavoratori per le potenzialità dell’AI sembra un po’ più diffuso che in alcuni paesi europei, con il 60% dei nostri connazionali che si dice persuasa del fatto che l’AI diventerà un “alleato invisibile” nello svolgimento del lavoro quotidiano. In particolare, le aree in cui gli italiani vedono più opportunità di progresso grazie al ricorso all’Intelligenza Artificiale sono: accesso più veloce al sapere e all’informazione (29%), aumento della produttività (28%), velocizzazione dei lavori di sintesi (23%). Non mancano, tuttavia, i timori. In particolare, a preoccupare professioniste e professionisti italiani, è l’aspetto dell’adeguamento delle skills e, in senso lato, la mancanza di opportunità di formazione specifica in questo ambito. Se il 33% degli intervistati nel nostro Paese dichiara di ricorrere già all’AI per lo svolgimento delle proprie mansioni, sempre il 33% si sente sopraffatto dal cambiamento che questa potrebbe portare e una percentuale quasi equivalente (30%) condivide il timore di non riuscire a tenere il passo con l’innovazione.
Se poi si analizzano i dati aggregandoli per generazione, emerge una contraddizione che potrebbe stupire: i nativi digitali, e nella fattispecie la GenZ, sono i più preoccupati dell’impatto dell’AI sul proprio lavoro, con il 44% degli intervistati nella fascia di età 16-26 anni che dichiara di sentirsi sopraffatto. I baby boomers e la GenY sono decisamente meno allarmati, con rispettivamente il 31% e il 32% che condivide lo stesso senso di sopraffazione nei confronti dei cambiamenti dettati dall’AI.
Le soft skill diventeranno ancora più importanti
Quali sono invece l’insieme di capacità che i lavoratori percepiscono come più importanti per gestire al meglio e sfruttare le potenzialità dell’AI sul lavoro? Ecco le 10 skill essenziali/fondamentali secondo i nostri connazionali:
- Problem solving (58%)
- Capacità di gestione del tempo di lavoro (54%)
- Capacità di adattamento e resilienza (53%)
- Capacità di comunicare (51%)
- Pensiero strategico (50%)
- Creatività (49%)
- Capacità di gestire le persone (48%)
- Capacità di lavorare in team e di collaborare (47%)
- Decision making (47%)
- Leadership (45%)
In conclusione, se è difficile stimare quale sarà l’entità reale dell’impatto dell’AI sul lavoro quotidiano dei professionisti e delle professioniste di tutto il mondo, nei diversi settori, è chiaro invece che le imprese per poter crescere e attrarre nuovi talenti dovranno cercare di guidare questo cambiamento, concentrandosi in particolare sull’offerta di nuove opportunità di formazione.
“A poca distanza dalle trasformazioni radicali dovute alla pandemia, i professionisti si devono ancora una volta adattare alla nuova ondata di cambiamenti innescata dalla diffusione su larga scala dell’AI generativa” commenta Marcello Albergoni, Country Manager di LinkedIn Italia. “I leader delle imprese dovranno trovare la giusta rotta e guidare le persone, per far sì che apprendano come utilizzare al meglio l’AI, sfruttandone il potenziale. In Italia, i giovanissimi sono i più preoccupati, e non a torto: solo il 31% degli intervistati ha dichiarato di aver ricevuto dal proprio datore di lavoro un insieme di linee guida sull’utilizzo dell’AI e di aver avuto accesso a un percorso formativo in merito. Eppure, è proprio alle esigenze e bisogni dei giovani talenti che le aziende devono guardare, mettendoli in condizione di coltivare le skill necessarie nel mondo del lavoro e di ampliare le strategie digitali delle organizzazioni. I dati che abbiamo raccolto evidenziano inoltre il valore incomparabile che le soft skills mantengono in uno scenario in cui gli esseri umani stanno imparando a collaborare sinergicamente con l’AI: ed è proprio questa collaborazione che sta plasmando il futuro del lavoro.”
Alessio Pomaro, AI LinkedIn Top Voice 2023 e Head of AI @ Search On Media Group, Docente, Speaker, Autore, commenta: “Quelli che stiamo osservando oggi sono i primi passi di un percorso verso un’intelligenza aumentata che estenderà le capacità dei professionisti e che porterà le aziende a trasformarsi, dal punto di vista tecnologico, ma soprattutto in termini di cultura aziendale. I lavoratori e le aziende hanno necessità di mettere a fuoco le modalità per sfruttare il potenziale delle nuove tecnologie, e di conseguenza creare percorsi di formazione per accrescere il know-how interno. Questi sono tutti sintomi legati ad una forte accelerazione tecnologica che aumenta costantemente, ma che necessita di trovare un equilibrio, con il contributo anche di un nuovo sistema di governance a livello globale. Lo strumento più importante che abbiamo a disposizione in questo momento per affrontare le sfide che ci aspettano deriva dalla cultura, e dalla consapevolezza di questi strumenti. E questo dev’essere uno sforzo collettivo, considerando l’impatto che queste tecnologie potranno avere nelle nostre vite, lavorative e non”.
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