La possibilità di ricorrere al lavoro agile si è ormai affermata come uno dei fattori utili a rendere maggiormente attrattivo il posto di lavoro, sia in fase di attrazione di nuovi talenti che di mantenimento di quelli già in forza. Il lavoro agile viene oggi percepito da parte dei lavoratori come una modalità di lavoro che agevola la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e, al contempo, mira a favorire un’etica del lavoro per obiettivi.

Dopo un’iniziale e ampia diffusione dello smart working – conseguenza soprattutto del periodo pandemico e post-pandemico, durante il quale spesso veniva garantita la possibilità di lavorare da remoto cinque giorni su cinque alla settimana – oggi sembra però assistersi a un rallentamento, se non a una vera e propria “frenata” nel ricorso a questo strumento.

È questo il quadro che emerge da una ricerca di HR Capital – società consociata di De Luca & Partners e leader nei servizi per la gestione e per l’amministrazione del personale in outsourcing – sull’attuale stato delle politiche di lavoro da remoto da parte dei datori di lavoro.

Secondo lo studio1, condotto da HR Capital sulle aziende assistite, nel 2023 il 60% delle aziende più strutturate – ossia dotate di una forza lavoro di almeno 50 persone e di un dipartimento dedicato alle risorse umane – ha concesso la possibilità di lavorare da remoto. Tra quelle meno strutturate – ovvero prive dei requisiti sopra citati – la percentuale scende sotto al 40%. Entrambi i valori risultano in diminuzione rispetto all’anno 2022, con una flessione più marcata per le grandi aziende (-15%). Nonostante l’affermazione dello smart working nell’ambito del lavoro dipendente, rispetto agli anni precedenti i numeri registrano, dunque, un rallentamento dell’avanzata del suo utilizzo: dal periodo immediatamente post-pandemico a oggi, infatti, il lavoro agile è spesso stato regolamentato in maniera restrittiva soprattutto nelle grandi realtà aziendali – le stesse che, inizialmente, vi avevano fatto ricorso con maggiore convinzione.

“I dati dimostrano come la cultura imprenditoriale del nostro Paese tenda ancora a considerare la possibilità di lavorare da casa quale strumento alternativo alla fruizione di ferie e permessi o come un normale benefit aggiuntivo, senza tenere conto dei vantaggi che, in concreto, possono derivarne, tra cui la riduzione dei costi per l’azienda, il benessere dei lavoratori e la possibilità di incremento della loro produttività”, sottolinea Andrea Di Nino, Consulente del Lavoro in HR Capital. “La ricerca – prosegue Di Nino – ha, inoltre, sottolineato che le ultime disposizioni rivolte ai lavoratori con figli e, ancor di più, quelle rivolte ai lavoratori cosiddetti fragili si sono dimostrate di complicata gestione dal punto di vista operativo, spesso aumentando la diffidenza delle aziende meno strutturate rispetto a questo strumento”.

Il quadro normativo di riferimento, rappresentato nell’ordinamento italiano dalla Legge n. 81/2017, considera il lavoro agile come una particolare modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, basata, tra l’altro, sull’alternanza tra lavoro “in presenza” e da remoto. Il ricorso allo smart working è subordinato alla sottoscrizione di un accordo tra datore di lavoro e dipendente e, in proposito, l’art. 23, primo comma della stessa legge prevede che il datore di lavoro debba comunicare in via telematica al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali i nominativi dei lavoratori che lavoreranno da remoto, nonché tutti i relativi dettagli, attraverso l’apposita piattaforma “Servizi Lavoro”.

Sul tema, negli ultimi anni, si sono susseguiti alcuni interventi legislativi (da ultimo, la conversione in legge del c.d. “Decreto milleproroghe”) con i quali sono state ulteriormente prorogate alcune delle norme “emergenziali” istituite dalla “normativa COVID”: in particolare, è stato esteso, in capo ai lavoratori con figli minori di 14 anni, il diritto al lavoro agile sino al 30 giugno 2024, così come per i lavoratori che, in base all’accertamento del medico competente nell’ambito della sorveglianza sanitaria eccezionale introdotta nel periodo COVID, risultino più esposti al rischio di contagio dal virus (i c.d. “lavoratori fragili”).

1 Lo studio di HR Capital è stato condotto su un campione di 60 aziende, di cui 22 rientranti nel paniere delle “aziende più strutturate”.

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Redazione

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