• Nel 2021 cresce l’attenzione per gli ecosistemi sostenibili: il 36,4% delle aziende seleziona i propri fornitori in funzione delle loro buone pratiche ambientali. Nel 2020 lo faceva meno del 22,5%. La percentuale sale al 45% tra le imprese dell’Emilia-Romagna e nell’ingrosso.
  • Sono i consumatori a fare la differenza: boom delle imprese che affermano di aver acquisito nuovi clienti grazie alle politiche di sostenibilità adottate dalla filiera. Dall’8,5% del 2020 al 14,8 di quest’anno. Il 18,7% degli imprenditori del commercio e dell’ingrosso dichiara di aver ricevuto la richiesta dai clienti di dimostrare di operare in una filiera sostenibile. Il 4% in più rispetto al 2021.
  • Complessivamente, l’84,4% degli imprenditori ritiene la propria azienda sostenibile, ma solo il 27,9% prevede premi ad hoc per i manager che raggiungono risultati positivi in quest’area e solo nel 18% delle realtà esiste una figura che si occupa di politiche per la sostenibilità.
  • Le aziende più attente, anche perché obbligate dalla legge, sono quelle con più di 250 dipendenti e quelle del settore della finanza. Nell’80% di queste realtà, il management prevede benefit aggiuntivi per i dipendenti. Nell’industria la percentuale scende sotto il 54%.
  • Pnrr, il 71% delle imprese dichiara di sapere cosa sia, ma solo il 7,3% afferma di conoscerlo in dettaglio. Per il 60% circa degli intervistati, i maggiori benefici riguarderanno le energie rinnovabili e i risparmi energetici degli edifici, ma solo un imprenditore su 3 pensa che la propria azienda ne beneficerà in maniera diretta. Il 46% introdurrà entro tre anni una figura specializzata nelle politiche eco-compatibili nella propria impresa.
  • La comunicazione delle buone pratiche resta parziale: quasi un’impresa su 5 redige il bilancio di sostenibilità o ambientale (16,3% nel 2020), ma solo l’11% è in grado di trasformare le proprie performance in statistiche rendicontabili.

Avanti, con prudenza. Chi si aspettava un’accelerazione improvvisa da parte delle imprese italiane nelle politiche per la sostenibilità, come colpo di reni dopo l’anno orribile della pandemia e per intercettare il treno dei finanziamenti pubblici del Recovery Plan, dovrà ricredersi.

Secondo quanto emerge dal quinto Osservatorio Sostenibilità & Comunicazione condotto da Format Research e promosso da Mediatyche, Homina e The Map Report, infatti, la transizione procede ma senza strappi.

Con un’unica eccezione rilevante: gli imprenditori italiani sembrano aver metabolizzato il concetto di sistema e compreso che le buone pratiche sostenibili, quelle efficaci, devono riguardare tutta la filiera.

“Per la prima volta – sottolinea Pierluigi Ascani, founder di Format Research – abbiamo registrato un’impennata nel numero di imprese, soprattutto del commercio e dell’industria localizzate in Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia, che seleziona i propri fornitori in base alle loro capacità di risultare sostenibili. Stiamo parlando di quasi un’impresa su due, mentre lo scorso anno non si arrivava a una su quattro”.

Una dinamica emersa anche nel corso della tavola rotonda organizzata al Meet – Digital Culture Center di Milano, nell’ambito della presentazione dei risultati dell’Osservatorio, e che ha visto la partecipazione di Andrea Chianese, Head of Business Development di Azimut, Vittorio Fiore, Communications, Regulatory & Public Affairs Director Italy del Gruppo Lactalis, Francesco Malaguti, Presidente di Camst e Leo Pillon, Founder & Ceo di Fortitude Group.

Realtà importanti, in prima linea nella partita della transizione sostenibile, che fa ben sperare proprio per l’effetto trascinamento che possono esercitare su piccoli artigiani, agricoltori e imprese di servizio.

Perché, per il resto, la forbice tra le grandi aziende e quelle medio piccole, rimane enorme.

Le prime sono da tempo soggette a obblighi di rendicontazione che le hanno costrette ad organizzarsi, mentre le altre navigano ancora a vista. Con il risultato che meno di un’impresa su 5 oggi redige il bilancio di sostenibilità o ambientale e poco più di una su 10 trasforma in statistiche rendicontabili le proprie buone pratiche.

“C’è un gigantesco problema di comunicazione verso l’esterno – sottolineano Massimo Tafi e Omer Pignatti, rispettivamente founder di Mediatyche e Homina – che rischia di avere ricadute pesanti nel momento in cui verranno pubblicati i bandi per l’accesso ai fondi del Pnrr. Solo chi saprà dimostrare di aver implementato il proprio modello di business, potrà beneficiare di queste risorse, importanti sia per la transizione ecologica che digitale. Il rischio più grande è assistere alla moltiplicazione di campagne di puro greenwashing: la sostenibilità, per essere comunicata, deve essere misurabile e servono professionisti in grado di farlo. Altrimenti si rischia il cortocircuito”. 

Anche in quest’ottica, l’adozione di politiche di filiera in grado di spalmare eventuali costi contingenti su più attori, può risultare efficace. Anche se, per il 50% degli imprenditori rimane un gigantesco problema legato alla burocrazia con cui fare i conti se si vuole accedere ai contributi per la transizione digitale ed ecologica. Burocrazia che il Pnrr dovrà spazzare via, come sottolineato anche da Michele Russo, Consigliere presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che nel corso del suo intervento ha ribadito quali saranno le linee guida del governo sulla gestione dei fondi Europei a e beneficio di aziende e del sistema paese.

Redazione

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