Spesso, gli approcci alla valorizzazione delle competenze falliscono nel riconoscere la persona come un unicum con passioni e ruoli diversi che possono apportare valore in azienda. In genere, ai dipendenti sono infatti proposti articolati modelli di competenze che raramente tengono conto di quelle abilità apprese all’esterno del contesto lavorativo.

Da qui nasce l’idea del white paper Valorizzare le competenze, dentro e fuori l’azienda: il parenting coaching come strumento per la genitorialità, realizzato da CoachHub in collaborazione con l’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, dal quale emerge un quadro interessante dell’attuale situazione rispetto allo sviluppo e alla valorizzazione delle competenze delle persone in azienda e a come il coaching può supportare la persona nel rendere le esperienze extra-lavorative un valore per l’organizzazione.

Partendo dai dati dell’Osservatorio e dalla letteratura scientifica, è chiaro come la genitorialità permetta lo sviluppo di competenze trasversali, in particolare di soft skill legate all’intelligenza emotiva e alle abilità comunicative e relazionali, sempre più essenziali per agire nell’incertezza, prendere decisioni e gestire risorse e imprevisti in continuo cambiamento anche a distanza o in ambienti ibridi. Competenze, queste, sempre più fondamentali, tanto che il termine “power skill” sta inesorabilmente prendendo il posto dell’aggettivo “soft”, che spesso ne scredita l’importanza e lo sforzo e gli investimenti necessari per il loro sviluppo.

Nuovi ruoli, nuove competenze: il coaching come strumento per acquisire consapevolezza

Il coaching è tra gli strumenti più efficaci per sviluppare consapevolezza rispetto alle proprie competenze e generare nuovi comportamenti per utilizzarle al meglio nell’ambito lavorativo.

Valeria Cardillo Piccolino

“Aiutando le persone a farsi promotrici del proprio valore unico e irripetibile e valorizzando esperienze e abilità acquisite in  diversi campi e ruoli, il coaching aiuta a riformulare la propria visione di sé, dei propri meriti e successi ed è l’ideale in fasi di transizione come può essere la genitorialità, perché fornisce le basi per trovare un nuovo equilibrio e per riuscire a integrare il proprio rinnovato ruolo di mamma e papà all’interno di una pre-esistente vita professionale”, dichiara Valeria Cardillo Piccolino, Senior Behavioral Scientist South EMEA e Middle East di CoachHub.

Nel contesto di quello che CoachHub definisce parenting coaching, i percorsi tarati sulla singola persona aiutano i neo-genitori a sviluppare una maggiore autoefficacia, ma anche a riflettere su come trasferire nel lavoro le nuove competenze sviluppate, oltre a essere un grande alleato nella riduzione dello stress.

Ma non solo: il ruolo del coaching sta anche nell’aiutare le aziende a implementare una strategia di sviluppo olistico della persona. È, infatti, solo grazie a un adeguato supporto dell’organizzazione e all’utilizzo di corretti strumenti che un evento di così grande portata sul piano privato può diventare un’occasione di crescita anche sul piano lavorativo. Per questo e in quanto sostenitori di un approccio che punta a trasformare il sistema, piuttosto che la persona, gli esperti di CoachHub propongono tre principali target per un programma di coaching orientato alla genitorialità.

1. Le neo-mamme

Non è raro che durante o al rientro dalla maternità, le neo-mamme provino paura all’idea di perdere una posizione strategica in azienda o senso di colpa per non poter più dedicare al lavoro il “100% del tempo disponibile”.

Durante questa transizione, il coaching è uno spazio psicologicamente sicuro che consente di trasformare le paure e le convinzioni limitanti in una nuova prospettiva che integri valori e competenze in una direzione professionale più rispondente a desideri e aspirazioni. Inoltre, è un valido supporto per aumentare la fiducia in se stesse, negoziare e affermare le proprie esigenze, tempistiche e obiettivi, così come per trovare autenticità in una nuova versione di sé, riflettere sulle aspirazioni di carriera e riformulare scopi e visioni personali, insieme a un piano d’azione che le renda concrete.

Per le dipendenti alle quali è offerto questo tipo di percorso, si tratta di un rassicurante segno che l’azienda sta investendo su di loro e nella creazione di un contesto inclusivo in cui la maternità è accettata come una naturale fase della vita di una lavoratrice. Ciò facilita la retention, incidendo sulla motivazione personale aumentata dal senso di essere riconosciute e valorizzate.

2. I neo-papà

Molto spesso, gli uomini sono il grande invisibile nei programmi di valorizzazione della genitorialità.

Per quanto moltissimi paesi abbiano introdotto con formule diverse il paternity leave, Italia inclusa, il tempo e le energie dedicate a questa transizione sono ancora molto sbilanciate verso le donne.

Un interessante report di McKinsey rivela, invece, che, nella maggior parte dei casi, gli uomini sono ben felici di usufruire del congedo di paternità e che i benefici si riflettono anche sul livello di engagement rispetto al proprio ruolo, con conseguente impatto sulla retention. Per molti neo-papà, il congedo e il nuovo ruolo sono preziosi per ristabilire le priorità, con conseguente aumento della produttività personale. Come per le donne, non è questione di quantità, quanto di riuscire a essere strategici nel proprio tempo, integrando competenze apprese fuori dall’azienda nel proprio ruolo professionale e viceversa.

3. I leader

Affinché la genitorialità si trasformi in una risorsa reale a servizio del sistema azienda, è fondamentale che non siano solo i diretti interessati (madri e padri) a essere oggetto di azioni di sviluppo. Anche i manager devono essere allenati a generare nuove prospettive attraverso cui valorizzare le competenze dei propri collaboratori. Sono loro i primi responsabili capaci di influenzare e generare una certa cultura organizzativa e promuovere e praticare un cambio di mindset che veda la genitorialità come un plus per l’intera organizzazione.

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