Uno “stato di conflitto” rappresenta una situazione specifica, che non si può, semplicisticamente, sintetizzare in una contrapposizione di parti. La conflittualità “carica” un contrasto di elementi emotivi che trascendono le ragioni contrapposte e sfociano in una competizione personale. Il conflitto (dal lat. conflictus-us “urto”, da confligĕre “cozzare”) implica uno scontro, un contrasto più o meno violento e, pertanto, emotivo e non (più) razionale. La gestione del conflitto è una delle competenze chiave di un leader e in questo articolo proverò ad offrire una soluzione comportamentale che faciliti questo ruolo. Per cominciare, facciamo un esercizio. Se avete tempo e voglia, prendete carta e penna (o tastiera e word) e scrivete le vostre risposte. Il consiglio, come sempre, è di rispondere di getto.

1. Definite la parola “conflitto”. Esattamente, cosa significa per voi?

2. Se doveste immaginarvi coinvolti in un conflitto, in che situazione vi immaginereste? Che emozioni vi attraverserebbero? Che cosa pensereste del vostro avversario? Cosa pensereste di voi stessi?

3. Che tipo di reazione avete quando vedete due o più persone che discutono o litigano? Intervenite? Fuggite? Vi divertite? State male? Vi sentiti, per qualche ragione, coinvolti?

Riguardate e valutate le vostre risposte dopo aver letto questo breve articolo. In linea generale, possiamo dire che un conflitto deriva da una percepita incompatibilità di azioni, obiettivi o idee. La nostra componente emotiva, se non adeguatamente controllata, tende a stimolare un senso di rifiuto verso tutto ciò che è diverso e contrario ai nostri modelli di pensiero e di comportamento. Il conflitto è una componente stabile delle relazioni sociali e, ogni volta che due o più persone interagiscono, nasce, spontaneamente, un confronto di bisogni e desideri che possono sfociare in uno scontro di personalità. Il tema è che in contesti organizzati un conflitto non si limita a coinvolgere solo le parti in gioco, ma coinvolge, inevitabilmente, tutti coloro che assistono, con il risultato che le parti spettatrici finiscono per schierarsi, amplificando la portata e le conseguenze del conflitto. L’ambiente aziendale, o lavorativo in genere, non fa eccezione, e le conseguenze più leggere sono:

  • fraintendimenti
  • incomprensioni
  • equivoci
  • disinformazione

Ma questo sarebbe il minimo, la realtà è che l’escalation può portare a liti e conflitti che possono seriamente danneggiare l’ambiente di lavoro e le performance aziendali. Per un leader il vero rischio è che un caso isolato si trasformi in una modalità relazionale, trasformando tutto il contesto in un ambiente conflittuale. Sembra incredibile, ma c’è una parte di noi che asseconda e alimenta il desiderio di conflitto, anche quando non siamo direttamente interessati. In qualche modo, ci piace vivere nella tensione conflittuale, ci motiva ed energizza. Crediamo che lo scontro ci permetta di ribadire, meglio e più efficacemente, la nostra personalità e i nostri valori. Non è più il confronto libero da pregiudizi a guidare i nostri pensieri e le nostre azioni, è il desiderio di auto-affermazione e di sopraffazione. Il tema è che per mitigare e risolvere un conflitto è necessario aggirare gli ostacoli emotivi, per porli sotto il pieno controllo della razionalità e della logica, cosa non semplice, ma possibile. Roy J.Lewicki, nel suo libro Negotiation, ha identificato le cinque modalità strategiche per affrontare una situazione conflittuale:

  1. accomodamento
  2. elusione
  3. competizione
  4. collaborazione
  5. compromesso.

Cinque comportamenti razionali, che mirano a sostituirsi alle pressioni emotive. Il problema è che se si è coinvolti in un contesto conflittuale, le pressioni emotive si sono già messe in moto e ci hanno travolti. Le cause possono essere diverse, la rabbia, l’ansia, la depressione, la tristezza, una generica tensione, lo stress e via di seguito. Tra l’altro, i conflitti si alimentano di questi fattori e li restituiscono al soggetto amplificati ed ingigantiti. Quindi, che fare? Cominciamo con lo stabilire che qualsiasi forma di conflitto rappresenta una sconfitta per le parti, a prescindere dagli esiti finali del confronto. Specie in ambito aziendale, sia lo “sconfitto”, sia il “vincitore” escono sempre fortemente ridimensionati agli occhi dei collaboratori, dei colleghi e, soprattutto, dei loro capi. Ma cosa può fare un leader per gestire in modo vincente le situazioni conflittuali? Anzi, come può prevenirle? Diventando un leader pacificatore. Lo so, può sembrare un’affermazione generica, retorica e “qualunquista”, ma funziona. Un leader razionale si concentra su come prevenire i conflitti che lo/la coinvolgono e i conflitti che riguardano gli altri. Studia le proprie reazioni e quelle degli altri e mette in atto comportamenti di compromesso e mediazione. Un leader razionale si domanda: “perché quella certa frase o comportamento mi irrita?” “E perché mi irrita a tal punto da cercare la lite?” “Perché tizio è così prevenuto nei confronti di Caio?” “Cosa può essere che determina queste reazioni?” I nostri paradigmi conflittuali sono potenti e affondano le radici nella nostra infanzia, ma in età adulta possiamo imparare, lavorando sulla nostra auto-consapevolezza, a spostare le nostre energie sull’essere portatori di pace. Attenzione, questo non significa evitare il confronto, anzi. Quando un leader ha imparato ad essere un pacificatore, sarà, nello stesso tempo, diventato un eccellente disquisitore e saprà valorizzare le proprie motivazioni, senza scadere nella contrapposizione. Un leader non lavora su ciò che lo/la differenzia dagli altri, ma sulle proprie reazioni riguardo queste differenze. Essere “pacificatori aziendali” significa farsi promotori del rispetto dei valori e delle differenze tra le persone. Il pacificatore aziendale ha una visione pragmatica del problema e incoraggia a evitare fraintendimenti e, in ultima analisi, insuccessi o sfiducia nelle relazioni aziendali e interpersonali. Il pacificatore aziendale percepisce il conflitto come un’opportunità di cambiamento. Se si gestiscono le differenze con rispetto, qualsiasi controversia può essere risolta pacificamente. Gestire i conflitti è un mezzo per trasformare il conflitto in un’opportunità, per costruire ponti tra le persone e migliorare le relazioni. Questa possibilità porta le persone a parlare delle loro differenze e a comunicare le loro percezioni, al fine di trovare una soluzione condivisa. L’obiettivo è raggiungere un livello win-win in cui tutti sono soddisfatti del risultato. In questo senso, il coaching è uno strumento fondamentale. Consente al leader di imparare a strutturare i propri discorsi e i propri pensieri in funzione di una soluzione razionalmente compromissoria. La risoluzione dei conflitti è un’opportunità per comprendere la natura e le menti umane. Il dialogo e la comprensione razionale delle differenze sono le chiavi del rispetto e della crescita universale, anche in azienda.

Giuseppe Andò

Giuseppe Andò

C-level, Executive, Team & Career Coach. Associate Coach Marshall Goldsmith Stakeholder Centered Coaching. Member of Board EMCC Italia (European Mentoring & Coaching Council).