L’industria 4.0, la quarta rivoluzione industriale che sta portando alla produzione del tutto automatizzata e interconnessa grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie digitali, è da anni al centro della trasformazione economica in Italia e nel mondo e ha subito una forte accelerazione durante il periodo della pandemia.

Se l’emergenza del Covid-19 ha accelerato la trasformazione digitale dell’industria, ha però anche evidenziato la necessità di ripensare gli attuali metodi di lavoro, ha esacerbato le vulnerabilità delle industrie (soprattutto europee), come le fragili catene strategiche del valore, e ha rafforzato la necessità di trovare soluzioni flessibili e robuste per affrontare queste vulnerabilità.

Nel momento in cui una parte della “vecchia normalità” si è sgretolata ed è emersa una “nuova normalità”, la Commissione Europea ha presentato, lo scorso gennaio, il documento “Industry 5.0: verso una industria europea sostenibile, humancentric e resiliente”, una riflessione su come modellare e rinnovare attivamente il ruolo dell’industria nella società.

Il nuovo paradigma dell’Industria 5.0

Partendo dalla constatazione che l’industria è il principale contributore all’economia europea e fornisce posti di lavoro e prosperità in tutto il continente (tra il 2009 e il 2019, l’industria ha rappresentato costantemente circa il 20% del PIL dell’UE, con l’industria manifatturiera in particolare che ha aggiunto circa il 14,5% del valore all’economia dell’UE), e che Industria 4.0 rappresenta una solida ambizione e un solido principio guida per l’innovazione e l’ulteriore sviluppo tecnologico dell’industria europea in un futuro non troppo lontano, la Commissione si è proposta di esplorare come potrebbe essere una rinnovata “Industria 5.0” europea e come potrebbe rendere le nostre industrie più a prova di futuro, resilienti, sostenibili e incentrate sull’uomo.

Gli esperti della Commissione ci hanno tenuto a sottolineare che che «l’Industria 5.0 non deve essere intesa come una continuazione cronologica o un’alternativa al paradigma esistente dell’Industria 4.0. È il risultato di un esercizio lungimirante, un modo di inquadrare la coesistenza tra l’industria europea e le tendenze e le esigenze emergenti della società. In quanto tale, l’Industria 5.0 integra ed estende le caratteristiche distintive dell’Industria 4.0. Sottolinea aspetti che saranno fattori decisivi nel posizionamento dell’industria nella futura società europea; questi fattori non sono solo di natura economica o tecnologica, ma hanno anche importanti dimensioni ambientali e sociali».

In termini di tecnologia – si legge nel paper della Commissione -, l’Industria 5.0 vuole rispondere alle promesse della digitalizzazione avanzata, dei big data e dell’intelligenza artificiale, sottolineando il ruolo che queste tecnologie possono svolgere per rispondere a nuovi requisiti emergenti nel panorama industriale, sociale e ambientale. Ciò significa utilizzare i dati e l’intelligenza artificiale per aumentare la flessibilità della produzione in tempi di “innovazione distruttiva” e rendere le catene del valore più robuste; significa impiegare una tecnologia che si adatta al lavoratore, piuttosto che il contrario; e significa utilizzare la tecnologia per la circolarità e la sostenibilità.

I tre pilastri dell’Industria 5.0

Lo scopo più ampio dell’Industria 5.0, che va oltre la produzione di beni e servizi per il profitto, è costituito da tre elementi fondamentali:
  • centralità dell’uomo;
  • sostenibilità;
  • resilienza.

Piuttosto che prendere la tecnologia emergente come punto di partenza ed esaminare il suo potenziale di aumento dell’efficienza, un approccio incentrato sull’uomo nell’industria mette al centro del processo produttivo i bisogni e gli interessi dell’uomo.

Piuttosto che chiedere cosa possiamo fare con la nuova tecnologia, chiediamo cosa la tecnologia può fare per noi.

Piuttosto che chiedere al lavoratore dell’industria di adattare le proprie competenze alle esigenze di una tecnologia in rapida evoluzione, il paradigma dell’Industria 5.0 prevede l’utilizzo della tecnologia per adattare il processo produttivo alle esigenze del lavoratore. Ciò significa anche assicurarsi che l’uso delle nuove tecnologie non pregiudichi i diritti fondamentali dei lavoratori, come ad esempio il diritto alla privacy, all’autonomia e alla dignità umana.

Affinché l’industria rispetti i confini del pianeta, deve essere sostenibile. Deve sviluppare processi circolari che riutilizzino, reimpieghino e riciclino le risorse naturali, ridurre i rifiuti e l’impatto ambientale. Sostenibilità significa ridurre il consumo di energia e le emissioni a effetto serra, per evitare l’esaurimento e il degrado delle risorse naturali, per garantire i bisogni delle generazioni di oggi senza mettere a repentaglio le esigenze delle generazioni future. Tecnologie come l’intelligenza artificiale e la produzione additiva possono svolgere un ruolo importante in questo senso, ottimizzando l’efficienza delle risorse e riducendo al minimo gli sprechi.

La resilienza si riferisce alla necessità di sviluppare un maggior grado di robustezza nella produzione industriale, armandola meglio contro le avversità e assicurandosi che sia in grado di fornire e supportare le infrastrutture critiche in tempi di crisi. I cambiamenti geopolitici e le crisi naturali, come la pandemia di Covid-19, evidenziano la fragilità del nostro attuale approccio alla produzione globalizzata. Dovrebbe essere bilanciato dallo sviluppo di catene del valore strategiche sufficientemente resilienti, capacità produttive adattabili e processi aziendali flessibili, soprattutto quando le catene del valore servono a soddisfare bisogni umani fondamentali, come la sanità o la sicurezza.

Competenze, up-skilling e re-skilling

Il documento della Commissione Europea dedica grande attenzione alla dimensione delle competenze necessarie per l’Industria 5.0.

Le competenze – si legge nel paper – si evolvono con la stessa velocità delle tecnologie. Le industrie europee sono alle prese con carenza di competenze e gli istituti di istruzione e formazione non sono in grado di rispondere a questa domanda. Questo vale sia per il livello di competenza che per le competenze digitali generali. Dal lato dell’offerta, i giovani non si sentono adeguatamente equipaggiati con le competenze necessarie per il futuro mercato del lavoro. Uno studio di Deloitte ha concluso che il 70% dei giovani ritiene di possedere solo alcune delle competenze richieste per avere successo nel lavoro del futuro.

Una possibile via d’uscita da questo squilibrio di competenze – è la proposta degli esperti della Commissione – sarebbe un approccio innovativo allo sviluppo della tecnologia. La tecnologia potrebbe essere resa più intuitiva e facile da usare, in modo che i lavoratori non necessitino di competenze specifiche per utilizzarla. Inoltre, la formazione potrebbe essere sviluppata contemporaneamente a questa tecnologia, assicurando così che l’insieme di competenze disponibili corrisponda meglio alle competenze richieste dai lavoratori dell’industria. I progetti Horizon 2020 SAM (Sector Skills Strategy in Additive Manufacturing) e SAIS (Skills Alliance for Industrial Symbiosis – a cross-sectoral Blueprint for a sustainable Process Industry) stanno già adottando questo approccio.

Con l’aumento dell’automazione, alcune competenze diventeranno inevitabilmente obsolete e quindi difficili da sviluppare ulteriormente. Per questo motivo, è importante agevolare un cambiamento nelle qualifiche di alcuni lavoratori, cioè riqualificarli. Questo spesso si applica alle competenze digitali, che potrebbero non essere state inserite nel programma di studi al momento in cui lavoratori hanno concluso il loro percorso di istruzione e formazione. Per quanto riguarda le competenze digitali, è essenziale garantire un certo livello di base di conoscenza e comprensione per tutti. Questo vale in particolare per l’intelligenza artificiale. È importante che le persone abbiano una comprensione di base del funzionamento dell’IA e conoscano i potenziali benefici e limiti di questa tecnologia. Affinché l’uomo possa mantenere il controllo di questa potente tecnologia, questo è il primo requisito.

Le competenze digitali non sono le uniche che saranno necessarie ai lavoratori delle fabbriche del futuro. Il World Manufacturing Forum ha identificato una top-10 di competenze che saranno necessarie nella produzione del futuro. Sorprendentemente, solo quattro di esse fanno riferimento alle competenze digitali: “alfabetizzazione digitale, AI e analisi dei dati”, “lavorare con le nuove tecnologie”, “cybersicurezza” e “consapevolezza dei dati”. Le altre competenze sono più trasversali e legate al pensiero creativo, imprenditoriale, flessibile e aperto.

Le aziende potrebbero, e dovrebbero, svolgere un ruolo più importante nell’istruzione e nella formazione della forza lavoro, in quanto possiedono le competenze, le conoscenze e il legame più diretto con la tecnologia. Sanno quali competenze mancano e quali saranno richieste in futuro. I lavoratori dovrebbero essere incoraggiati a partecipare alla progettazione dei corsi di formazione, per assicurarsi che la formazione sia pertinente e adattata al pubblico.

 

L’Industria 5.0 è vantaggiosa sia per i lavoratori che per le aziende. I vantaggi per l’industria sono di ampio respiro e vanno da una migliore attrazione e fidelizzazione dei talenti, al risparmio energetico, alla maggiore resilienza generale.

 

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Redazione