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Con leadership si definisce un’attività volta a guidare un determinato gruppo di persone verso un preciso obiettivo, preferibilmente condiviso. Dentro questa generica definizione, articoli e manuali elencano infinite attività, senza le quali sarebbe impossibile (?) interpretare al meglio questo ruolo. C’è, però, una specifica attività del leader che non viene particolarmente esplorata: quella della trasmissione di competenza e conoscenza. Per chi (come me) ritiene che la leadership sia una vera e propria tecnica di gestione delle risorse umane e non la semplice interpretazione stilistica di comportamenti stereotipati, il ruolo formativo del leader è un requisito chiave.

Un leader non può esimersi dal trasformare la propria comunicazione interpersonale in una sorta di “master class di gestione”, personalizzato per ogni suo collaboratore. Nel corso del tempo, questo approccio trasforma l’azienda in una fucina di talenti di leadership, accelerandone la crescita. Nella mia pratica quotidiana, come C-level ed Executive Coach, ho potuto verificare personalmente l’efficacia di questo approccio. I leader sono vissuti come autentiche “star”, che approfittano di tutte le occasioni di incontri One-to-One o di team, per condividere generosamente il loro sapere. Il tutto avviene in una forma personalizzata e calibrata per l’interlocutore (o gli interlocutori), che si sentono, così, i destinatari “speciali” di quell’insegnamento.

Psicologi cognitivi, docenti e pedagoghi hanno da tempo riconosciuto il valore di un’istruzione così personalizzata. Essa non solo favorisce la competenza o la conformità a certi standard di apprendimento, ma anche la padronanza delle capacità e l’indipendenza di pensiero e di azione. Inutile dire che la maggior parte dei leader che incontro quotidianamente, ricade su pratiche più tradizionali di gestione e sviluppo dei dipendenti, come ad esempio fare delle revisioni formali, consigliare sui piani di carriera, fungere da cassa di risonanza, ecc. Ma devo dire che, sempre più spesso, mi imbatto in leader eccezionali che sono docenti a tutto tondo. Non disdegnano di stare “in trincea” con i dipendenti, trasmettendo competenze tecniche, tattiche generali, principi aziendali e, qualche volta, vere e proprie lezioni di vita. Il loro insegnamento è perfettamente incorporato in una relazione naturale e spontanea.

Risultato? Le loro organizzazioni e i loro team sono tra i più performanti nei loro settori. Le “grandi lezioni” rimangono patrimonio dell’azienda e si perpetuano nel tempo arricchendo anche chi verrà a lavorare molti anni dopo. Un leader trasmette non solo le sue conoscenze e competenze teoriche o di base, ma anche, e soprattutto, gli aspetti pratici del “mestiere”, quelli che gli inglesi chiamano nuts and bolts (letteralmente dadi e bulloni). Nel lavoro quotidiano un leader condivide idee e sensazioni, concetti razionali e pure intuizioni, stimolando nei collaboratori la ricerca di un modello autonomo di orientamento e di crescita professionale. Questo innesta in azienda un processo virtuoso di condivisione ed espansione del sapere, che alimenta l’innalzamento spontaneo delle competenze generali dei dipendenti. L’altro aspetto chiave della missione didattica della leadership è quello relativo al fatto che non c’è un momento destinato alla formazione. Ogni occasione di relazione con il leader è un’opportunità per imparare e crescere. Questo fa sì che ogni collaboratore attribuisca grande valore alle interazioni con il leader e sia molto più disponibile, facilitando anche il lavoro routinario. Esiste un metodo pedagogico preciso? No! Però esistono delle tecniche che agevolano il compito di un leader.

1. Trasferire istruzioni precise

Quando assegna un compito, il leader pedagogico è estremamente preciso nelle istruzioni, che sono istruzioni sul “cosa”. Indica l’obiettivo e condivide da subito il suo sapere circa l’argomento. Ciò che non fa, è indicare il “come”, che è l’area di competenza (e di crescita) del collaboratore.

2. Saper comunicare attraverso le domande

Un leader pedagogico insegna ponendo domande acute e pertinenti. La “domanda metodologica” stimola un processo di apprendimento, in quanto “costringe” l’interlocutore ad elaborare una risposta logica e coerente. Domande del tipo “cosa ne pensi di questa cosa?”, “secondo te, perché e successa quest’altra cosa?” “come pensi che ci saremmo dovuti muovere in quella determinata situazione?” sono esempi di domande che stimolano una riflessione che rende protagonista il collaboratore, uscendo dal clima riduttivo di un’interrogazione.

3. Rappresentare un modello esemplare

Un leader pedagogico è un esempio. Nulla di nuovo. Ma quel che qui si intende, è una cosciente e razionale progettazione di comportamenti esemplari, legati alla propria attività. Un leader deve sempre ricordarsi che è l’oggetto dell’osservazione di collaboratori diretti, indiretti e colleghi. Quindi, deve vivere il proprio ruolo come un continuo “mandato pedagogico”.

Un leader pedagogico è, semplicemente, un leader intelligente. È un leader che ha capito che, moltiplicando il suo sapere per le persone che collaborano con lui/lei, crescono anche i profitti. La vita in azienda deve diventare un costante corso di formazione, che rinforza la lealtà e il lavoro dei team, con l’inevitabile ricaduta positiva sulle performance aziendali.

Giuseppe Andò

Giuseppe Andò

C-level, Executive, Team & Career Coach. Associate Coach Marshall Goldsmith Stakeholder Centered Coaching. Member of Board EMCC Italia (European Mentoring & Coaching Council).