La discussione sui nuovi concetti, strumenti, approcci e metodi per la gestione strategica e l’organizzazione delle PMI è ormai di routine tra gli accademici, gli studiosi, i consulenti e i politici. Per i manager e gli imprenditori delle piccole imprese a volte è difficile trovare la propria strada. Ambienti complessi (VUCA – volatility, uncertainty, complexity, and ambiguity) e globalizzazione rimangono sfide ancora insuperabili per le PMI e le soluzioni richiedono tecnologia e innovazione, il che sottolinea ulteriormente l’importanza della gestione strategica. In generale, le PMI rispondono a queste esigenze con modalità di gestione che vanno da una pianificazione estremamente sofisticata e dettagliata, con un’assenza di visione, a imprese che sostengono di non aver bisogno di una strategia. Le PMI hanno quindi un comportamento strategico “non formulato”, disordinato e privo di processi logici, soprattutto per quanto attiene la fase implementativa. Tuttavia, questo approccio, se ben supportato, può rivelarsi un vantaggio e non una lacuna. Un vantaggio che combina intuizione e creatività, entrambi elementi importanti per il pensiero strategico e necessari per una gestione strategica di successo. Queste aziende non cadono nella trappola di un approccio troppo analitico, che era particolarmente comune tra le aziende più grandi negli anni 80 e ha portato a una severa critica del concetto di pianificazione strategica (Mintzberg, 1994). Steiner (1979) ha sottolineato che: “Se un’organizzazione è gestita da geni intuitivi non c’è bisogno di una pianificazione strategica formale”. Ma, allora, sulla base di queste premesse, la domanda centrale è ancora: quale contributo hanno metodi e modelli di organizzazione generali e specifici sulle performance e la crescita delle PMI? Davvero le PMI non hanno bisogno di una strategia? Davvero possiamo ancora affidarci alle estemporanee intuizioni dell’imprenditoria? La correlazione tra gestione strategica e performance è generalmente difficile da determinare a causa di problemi concettuali e metodologici. Powell (1992) ritiene che gli studi abbiano prodotto risultati inconsistenti perché non considerano l’impatto della pianificazione strategica nel tempo. È di tutta evidenza che se si misurano gli effetti di una strategia nel breve-medio periodo, si otterrà un quadro parziale, che non considera gli effetti a lungo termine. La letteratura offre diverse prospettive circa il concetto di strategia: esistono strategie basate sul mercato, strategie basate sulla competenza, strategie che applicano la visione di Porter, il modello del portafoglio, e così via.

Per gli imprenditori la domanda è sempre la stessa: devo implementare un processo di pianificazione strategica? Posso implementare un processo di pianificazione strategica, senza aver prima implementato un adeguato controllo di gestione? In assenza di un piano razionale – che strutturi controllo di gestione e pianificazione strategica in un unico framework coerente – non usare metodi di gestione strategica potrebbe essere più vantaggioso che adottare un approccio inappropriato. In letteratura il dibattito è continuo, ma nessuno arriva alla conclusione, cioè nessuno indica chi e come dovrebbe aiutare l’imprenditore a scegliere tra i diversi modelli strategici, senza lasciarli puri e semplici schemi teorici. La mia idea è che la gestione strategica dell’impresa sia fondamentale, ma vada calibrata su un orizzonte temporale delle performance più adatto alla PMI. Dalla metà degli anni 80 si parla di strategia, ma ciò che ad un certo punto del dibattito abbiamo imparato è che le piccole imprese non sono versioni più piccole di imprese più grandi (Julien, 1993). Sono caratterizzate dalla posizione centrale del proprietario, che spesso ha una qualificazione manageriale limitata e un’avversione alla pianificazione e all’applicazione di metodi formali. Tra le loro debolezze ci sono le difficoltà di finanziamento e lo scarso ricorso all’uso di risorse e competenze esterne. Il loro vantaggio più importante è la loro flessibilità che permette loro di reagire immediatamente ai cambiamenti di ambiente.

In generale, il pensiero dominante sul tema è ancora fondato sul quadro concettuale stabilito dagli autori degli anni 70 (Andrews, 1971; Schendel & Hofer, 1979). Secondo questo paradigma il processo di gestione strategica consiste di una fase analitica, di una formulazione della strategia e della sua implementazione. Secondo questa impostazione, la gestione strategica è vista prevalentemente come un processo razionale-analitico. La verità è che la gestione strategica si basa su un corpus di varie discipline e consiste di diversi approcci. Per esempio, per Prahaled e Hamel (1990) una strategia deve comprendere anche una valutazione delle competenze di base. Il principio chiave è che i vantaggi competitivi emergono attraverso il processo di accumulazione e distribuzione delle risorse. Questo approccio è diverso dal tradizionale concetto di organizzazione industriale. Mentre la letteratura sull’organizzazione industriale si concentra sull’ambiente esterno all’impresa, guardando all’industria e ai mercati, la visione basata sulle risorse si concentra sull’ambiente interno all’impresa e sulle sue risorse. Quindi, se è pur corretto centrare la strategia sul posizionamento dell’azienda in relazione ai vari contesti ambientali, è altrettanto indispensabile che il processo strategico tenga conto del sistema amministrativo, degli effettivi processi decisionali e delle caratteristiche e delle motivazioni delle persone coinvolte. Solo da un’analisi congiunta dei fattori esterni ed interni si può ottenere una strategia efficace e concreta. Come evidenziato da Quinn, le strategie si compiono secondo uno schema incrementale, cioè secondo un processo di apprendimento individuale e collettivo che forma e implementa la strategia nel tempo.

La gestione strategica è un processo di apprendimento (Mintzberg, 1990). Questa prospettiva è perfetta per le PMI, perché di solito la gestione strategica è più informale, non strutturata e irregolare. Inoltre, le strategie nelle PMI hanno molto spesso un carattere tacito e sono incorporate dall’imprenditore e non sono tradotte documentalmente in piani strategici. Ma perché la PMI non formalizza i propri piani strategici? Le ragioni più spesso addotte includono la mancanza di tempo, le competenze limitate, l’incertezza su come iniziare il processo, e – soprattutto – la sfiducia dell’imprenditore nei confronti degli estranei (i consulenti). Concludendo, si può dire che la necessità di una strategia per la PMI sia indiscutibile, ma, di sicuro, le modalità d’approccio e di implementazione non possono essere sic et simpliciter importabili da quelle applicate alle grandi aziende.

Giuseppe Andò

Giuseppe Andò

C-level, Executive, Team & Career Coach. Associate Coach Marshall Goldsmith Stakeholder Centered Coaching. Member of Board EMCC Italia (European Mentoring & Coaching Council).