Reperire personale sta diventando sempre più difficile. Lo dicono gli imprenditori, lo dicono i responsabili HR di imprese piccole, medie e grandi. E lo dicono anche i dati: basti guardare per esempio a un’indagine di Confcommercio sulle imprese del terziario a Milano, Monza Brianza e Lodi, che è andata a confrontare i dati relativi a fine maggio 2022 con quelli di fine maggio 2023.

Se l’anno scorso il 58% delle imprese del terziario a Milano, Monza Brianza, Lodi prevedeva nuove assunzioni, 8 su 10 lamentavano di non trovare personale. Nel 2023 la percentuale di imprese in cerca di talenti è arrivata al 78%, ma è cresciuto anche il numero di imprese che incontrano difficoltà nel reperire personale, per arrivare a 9 su 10.

Come rendere più facile l’attività di recruiting quindi in questi tempi difficili? Lo abbiamo chiesto a Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società internazionale di head hunting  e di sviluppo di carriera.

«Il mio primo consiglio non può che essere questo» risponde Adami «nel momento in cui la propria impresa ha bisogno di un profilo qualificato o di un manager, è molto vantaggioso rivolgersi a un head hunter, e quindi a un professionista del recruiting che potrà gestire dall’inizio alla fine questo processo. In questo modo si ridurranno i tempi di ricerca e di assunzione, e si aumenterà la qualità della selezione: questo significa che molto probabilmente il processo di recruiting si concluderà con un successo, e quindi con la selezione di un candidato in linea con i requisiti ricercati».

Quindi basta rivolgersi a un head hunter, e il gioco è fatto? «Non proprio» continua Carola Adami «in quanto il cacciatore di teste si occupa esclusivamente della selezione del personale, supportando eventualmente l’azienda per l’inserimento della risorsa». Spetta invece all’azienda, nella quotidianità, rendersi “desiderabile”: «l’attività di recruiting diventa tanto più semplice ed efficace quanto l’azienda lavora regolarmente sull’employer branding, e quindi sulla propria reputazione come luogo di lavoro».

E in effetti, negli ultimi anni, di employer branding si parla sempre di più: ma come si migliora nel concreto questo aspetto della gestione aziendale?

Ecco i 4 step individuati da Carola Adami:

  • Identificare la propria EVP, Employee Value Proposition: così come nel marketing si parte sempre dall’individuazione della propria UVP, Unique Value Proposition, ogni strategia di Employer Branding dovrebbe partire dalla definizione della propria Employee Value Proposition, ovvero della propria proposta di valore nei confronti dei potenziali futuri dipendenti. Autenticità, trasparenza, formazione continua, meritocrazia, welfare aziendale, panorama internazionale: cosa può offrire l’azienda, in che modo si distingue rispetto agli altri posti di lavoro?
  • Creare una presenza forte online: sito web e social media, a partire da LinkedIn, sono strumenti importantissimi per costruire una presenza online forte e bene definita, nonché per entrare in contatto con potenziali candidati.
  • Incoraggiare l’employee advocacy: i primi testimonial della qualità dell’azienda come posto di lavoro dovrebbero essere i suoi dipendenti, portati istintivamente ad avviare un passaparola virtuoso. Ma si può fare di più: tratteggiando un programma di employee advocacy è possibile stimolare i dipendenti a condividere le loro esperienze positive, attraverso contenuti capaci di migliorare ulteriormente l’Employer Branding.
  • Garantire un’esperienza di qualità ai candidati: sono tantissime le persone che entrano in contatto con un’azienda in occasione dei processi di selezione. Si pensi a tutti i candidati che vengono contattati per un colloquio di lavoro, e ancora prima a tutti quelli che inviano i propri CV. È fondamentale offrire una candidate experience di qualità, dando informazioni chiare, garantendo dei feedback, e riducendo al minimo l’attesa. In questo passaggio, ovviamente, rivolgersi a un cacciatore di teste può fare doppiamente la differenza.
Redazione